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Povero Prandelli. Che si fosse scelto uno dei compiti più ingrati nella storia dei Ct di ogni tempo era fuor di dubbio: cosa fare di fronte all’eredità di Lippi-bis se non capire che non era più tempo di rivoluzioni soft ma di una sterzata dolorosa? Che lo avesse fatto scegliendo una linea dura ma condivisibile, in linea col personaggio, era la prima medaglia al merito da appuntare sulla giacca di rappresentanza. Ma che persino lo ‘zoccolo duro dei nuovi’ (ossimoro che sintetizza bene il nuovo corso) lo tradisca e renda il futuro, seppur lastricato dell’agevole cammino verso Euro 2012, già incerto non se l’aspettava proprio.

Prendiamo il celeberrimo – in un Paese poco abituato alle regole e ancor meno a rispettarle – Codice Etico lanciato sin dall’estate: chi si rende colpevole, anche col club, di comportamenti non in linea con la morale sportiva è escluso dalle convocazioni. Una sorta di castigo a tempo (mica eterno: siamo pur sempre italiani e messi male in quanto a nuovi talenti calcistici, suvvia) per far capire che, prima del palmarès, c’è un’immagine internazionale da rispolverare. Risultato? Il povero Cesare si è trovato, alla vigilia della gara con la Slovenia, a punire ancora due suoi ‘allievi’, De Rossi e Balotelli, autori – recidivi – di due stupidaggini in mondovisione già sanzionate dall’UEFA.

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Italia-Serbia: c’eravamo tanto a(r)mati. Anche dopo la sospensione definitiva del match le tv, indignate, continuavano a mandare in onda – strano paradosso – le immagini del triste spettacolo che ha negato il loro di Spettacolo, violentato il palinsesto e inciso una discontinuità nel flusso del racconto (monologo?) televisivo. Al netto delle interpretazioni politiche, calcistiche, sociologiche ed emozionali che leggerete oggi, un dato rimane, spietato e incancellabile (soprattutto nell’era della riproducibilità – e registrabilità su hard disk, in High Res – tecnica dell’opera d’arte): una volta tanto, di nuovo, almeno una ancora, la Vita ha fatto irruzione armata e in passamontagna negli studi Tv, ha letto il suo messaggio e si è lasciata dietro il suo piccolo rogo.

“L’anomalia”, si leggerà in uno di quei report interni top secret e stilati da un apposito Ufficio adibito a questo genere d’incidenti, “è avvenuta prima dell’Evento e ha creato una fluttuazione rivelatasi fatale nell’equazione prestabilita da mesi: si attende nuovo rapporto su eventuali danni collaterali e residui di codice-pirata che potrebbero replicare l’infezione”. Presto la frattura verrà normalizzata e ciò che rimarrà saranno delle sequenze alfanumeriche a definire e catalogare per le nuove generazioni a quale categoria appartiene l’Errore verificatosi il 12102010 alle ore 8.45 p.m., ora legale del Flusso. Ma, come il medium sa, la frittata è fatta, il virus entrato nel sistema e un’altra piccola breccia, seppur isolata ed inoffensiva, aperta nel fronte di guerra.

Italia-Serbia di ieri sera, o meglio, (non)Italia-Serbia di un ieri qualunque, passerà alla storia come un’altra data da cerchiare in nero sul calendario calcistico, l’ennesimo ricatto di una Curva all’intero Cerchio pallonaro, la solita feconda intromissione della politica nella cassa di risonanza del calcio che, stomaco forte, tutto mastica, digerisce e sputa amplificandolo.

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(Piccola premessa): il 28 settembre 1864 si svolse a Londra la prima grande riunione del congresso costitutivo della nascente Associazione Internazionale dei Lavoratori: vi parteciparono rappresentanti di diversa estrazione geografica (Italia, Germania, Francia, Polonia, Irlanda, Inghilterra, Svizzera) oltre che ideologica (comunisti, socialisti, utopisti, anarchici, repubblicani, ecc.) ma grazie al lavoro di Karl Marx che riuscì a sintetizzare le varie correnti ed esperienze si giunse alle prime importanti conquiste: la nascita di un vero e proprio movimento operaio, le prime conquiste di categoria – la giornata lavorativa a 10 ore – e la presa di coscienza delle necessità di conquistare una fetta del potere politico. L’esperienza del ’64 passò alla Storia come la “Prima Internazionale Comunista” e l’avvento del movimento operaio in quanto unità coesa su una scena politica europea in subbuglio.

A distanza di 146 anni è forse un po’ accademico ma certo illuminante ripensare a quella esperienza, soprattutto quando, anno Domini 2010, l’Internazionale FC è rimasta (ancora per quanto non è dato sapere, NdR) l’unica rappresentante del football italico in Europa e intanto si ripresentano ciclicamente – ma qui, dopo Marx, dovremmo scomodare pure Giambattista Vico e non è davvero il caso – le polemiche sul numero ‘giusto’ di stranieri che una squadra dovrebbe avere, le dispute di concetto su cosa significhi essere espressione di una ‘scuola nazionale’ a livello di calcio e/o tradizione proposta e se, quando si parla di integrazione, il mondo del pallone debba continuare ad essere a compartimenti stagni o cominciare a riflettere tendenze e novità che il resto della vita sociale (il mondo là fuori, per intenderci: rivolto a quelli che erano ancora sintonizzati sul dolce mantra 24h/24h di SkySport24 sprofondati in divani fondi come tombe) propone. Andiamo con ordine.

Macello Lippi. E non ce ne voglia il toscanaccio, checchè se ne dica Campione del Mondo in carica oltre che tipo coerente con le idee che espone, per il ‘nickname’ affibiatogli.  Come era prevedibile, la sua risposta alla domanda se la vittoria dell’Inter in Coppa potesse essere letta come una sorta di ‘revanche’ del nostro calcio su quello albionico – e, più in generale, come un colpo di coda rispetto alle magre figure rimediate dai nostri team fuori dai confini patri –  ha riacceso le polemiche.

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Qualche maligno ora dirà che aveva smesso di giocare tempo fa. Ma fa sempre notizia – e forse neanche tanto quanto avrebbe ‘meritato’ – un calciatore del suo calibro quando dice “basta”: Christian Vieri ha annunciato qualche giorno fa di aver deciso di smetterla col calcio giocato. Conoscendolo, (dopo averci flirtato per un’intera carriera, violentandole di reti) le porte le ha probabilmente chiuse al pallone tout court

Centravanti d’antan. Zingaro. Campione (Apatico). Buffone. Devastante. Mercenario. Incompiuto. Dei tanti appellativi affibiatigli dalla stampa nel corso degli anni lui certamente preferirà quello auto-attribuitosi nel corso di una memorabile e burrascosa conferenza-stampa ad Euro 2004, quando si cominciavano ad intravedere i prodromi del Vieiri billionario, la chioma che si allungava e la carriera, viceversa, ad accorciarsi. In direzione ostinata e contratto (non ha mai dato importanza ai soldi: è stato lo stipendio a renderlo importante, “Mr. 90 miliardi” – con la collaborazione del Massimo Presidente) sin da ragazzo, col tempo ha finito per dare ai detrattori un motivo per punzecchiarlo e darsi di gomito: dal Vieri sciupa-femmine ed appendi-slip a Madrid (sbolognato dalla Juve, diventava ‘pichichi’ con l’Atlético) a quello modaiolo e sciupa-reti del periodo milanista e doriano, quando le frequentazioni vip hanno cominciato a fare più notizia. E la stampa giù a castigare ridendo Mora (Lele). Lui se n’è comunque sempre sbattuto, un boooh a titillare la fantasia degli imitatori e ad ammosciare i microfoni dei reporter.

Il centravanti toscano tra qualche anno lo ricorderemo con la maglia dell’Inter, le scollature della Canalis (la ragazza della porta accanto che nonno Enzo vedeva bene per quel ‘bischero’ di suo nipote), il muso lungo e la nomea di burlone lasciata in ogni spogliatoio frequentato. Suoi compagni di merende Pippo Inzaghi, un altro che l’ha sempre ‘messa dentro’ in entrambi i campi e, negli ultimi tempi, Antonio Cassano: chissà se avessero giocato insieme… Due tipi a sé stanti che forse sono più soli di quanto si pensa: forse anche perché capaci entrambi, sul rettangolo verde, di vincere da soli. Fabio Caressa di lui ha detto che “semplicemente per anni è stato il più forte di tutti. Talmente forte da illudere che lui fosse sufficiente. Ha finito per vincere meno di quello che avrebbe dovuto, ma tra quelli che hanno provato a vincere da soli, Christian Vieri è quello che ci è andato più vicino”.

Vagabondo per scelta, solo a Milano ha trovato una sua stabilità, non una sua dimensione: ha rotto il muro dei 100 gol e poi i ‘cosiddetti’ a Roberto Mancini, suo iniziale estimatore che via via gli ha preferito Adriano. Non ha avuto il tempo di incrociare Mourinho e magari di litigarci, ma al portoghese avrebbe fatto piacere avere là davanti un bomber che non gliele avrebbe mandate a dire e che (sogno recondito di molti) ha letteralmente appeso Lippi agli armadietti dello spogliatoio. Ha fatto faville con Robibaggio sia in nerazzurro che in Nazionale, dove dai Mondiali del ’98 a quelli del 2002 (sfortunate le sue parentesi ‘Europee’) è stato il totem cui affidare, ricambiati, le nostre aspirazioni iridate. Destino ingrato, tuttavia: come per Maldini, andato via lui, l’Azzurra ha vinto e l’Inter s’è scetata dal suo torpore. Sapete perché mi piace? Perché non sembra mai averne realmente sofferto: non lo avrei mai immaginato in altre vesti che quelle bullonate, ma allo stesso tempo ha lasciato il calcio come un qualsiasi altro mestiere, senza nostalgia. È nella solitudine del numero primo che ricorda Gigirriva, nei silenzi e il carattere schivo, nell’essere diventato personaggio suo malgrado. Uno ‘Rombo di Tuono’, l’altro Rombo di Bobo. Un ragazzone. Per Severgnini, la versione calcistica di “Uccelli di rovo”: il curato grande, grosso e bonario che prende la parrocchia e la porta di peso sulle spalle. (Tutto da solo, ça va sans dire).

Boooh. Ma sai che, alla fin fine, hanno ragione?! La notizia del ritiro di Bobo-gol è una non-notizia: Vieri ha smesso di giocare dopo essere andato via dall’Inter. Dopo, forse senza più stimoli, ha messo le pantofole: capita, anche agli zingari del gol più incalliti. Ma, quando ha voluto, come lui nessuno mai. Tritolone Vieri: nonostante le lusinghe televisive, più reale dei reality. Grazie comunque. (Un tuo ammiratore).

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Uno degli 'amori' di Bobo

Qualche anno fa, nel corso della campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Bari, l’attuale primo cittadino del capoluogo pugliese, l’istrionico Michele Emiliano, divenne celebre per uno spot televisivo, realizzato e mandato in onda sulle reti locali ma che ben presto aveva cominciato a spopolare anche sul web. Il suddetto messaggio elettorale era costruito come una lunga ‘carrellata’ di anziani e pittoreschi signori che, davanti ad un televisore, ripetevano tutti lo stesso leitmotiv, diventato ben presto un tormentone (“Mitt’ a Cassaèn! Mitt’ a Cassaèn…”, ossia, “Fai entrare Cassaèn!”). Lo pubblicità sfruttava (è proprio il caso di dirlo) la notorietà pedatoria di un trequartista originario di Barivecchia, ma quantomeno si distanziava dalle solite, anchilosate comunicazioni elettorali a cui di solito assistiamo passivi davanti alla TV prima di trovare dentro di noi un residuo di forza o quella scintilla vitale per compiere il gesto estremo di saltare al canale successivo. La cosa che ispirava simpatia, al di là dell’appartenenza politica, era la spontaneità di quei volti montati uno dopo l’altro i quali, come in un atto di fede dal quale non ti aspetti nulla, se non l’imprevedibile magia del cambiamento (che sia quello di una giocata di tacco risolutrice o del nuovo corso di una giunta comunale in una città dai mille problemi), ripetevano il mantra: “Mitt’ a Cassaèn”.
Semplice e diretto. Senza tanti giri di parole (tanto da rivelarsi vincente pure alle urne).

[Tutto questo per dire che solo in Italia uno dei due-tre giocatori più talentuosi dell’ultimo decennio può venire escluso con un preavviso di quasi due anni e senza nemmeno Cassan-Integrazione – la crisi è arrivata ovunque, bellezza – dai prossimi Campionati Mondiali. Se dal punto di vista tecnico la scelta va accettata perché appunto fa parte degli onori/oneri di chi deve ‘selezionare’ giocatori, fatichiamo non poco a capire perché sia così difficile dire, una volta per tutte, qualunque essa sia, la motivazione ufficiale. Invece di trincerarsi dietro non-giri di parole. Fortuna che davanti alla TV qualcuno di quei vecchietti ancora esclamerà innocentemente, all’oscuro di tutta questa vicenda, “Mitt’ a Cassaèn!”. Fortuna che per la Persona-Attualmente-Incaricata-Di-Selezionare-Gli-Azzurri rimanga ancora una non-risposta originale per dribblare queste seccanti e tediosissime domande. Gliela suggeriamo noi: provi con lo scambio di persona. Magari con la scusa dell’omonimia trova l’erede di Buffon.]

“Cassano chi?!”

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Mario Cassano